Esce per Rubbettino il romanzo del celebre scrittore e sceneggiatore sulla vicenda che diede avvio all’esodo albanese verso le coste italiane
In molti sembrano quasi essersene scordati, ma le immagini dei barconi che raggiungono l’Italia non sono certo recenti. Venti anni fa i barconi di gente in cerca di fortuna arrivavano dall’Albania ed erano carichi di gente che parlava l’Italiano appreso in TV e che scappava da una dittatura che volgeva oramai al termine.
A dare la stura al grande esodo furono i membri di una famiglia che con un gesto di ribellione misero a dura prova i rapporti tra l’Italia e l’Albania ma che lungi dall’essere celebrati come eroi finirono presto nel dimenticatoio della storia. La vicenda è oggi raccontata dalla penna raffinata di Ylljet Aliçka, scrittore e sceneggiatore albanese, nel romanzo, appena edito in Italia da Rubbettino e significativamente intitolato “Il Sogno Italiano”.
I fatti. Dicembre 1985: la famiglia Tota (Popa nella realtà), composta da quattro sorelle e due fratelli, si rifugia all’ambasciata italiana di Tirana chiedendo asilo politico. Lo stato totalitario albanese è esterrefatto. Si tratta di un evento senza precedenti non solo in Albania, ma in tutto il blocco dei paesi ex-comunisti dell’Europa orientale.
Tuttavia, i Tota usciranno dall’ambasciata solo cinque anni più tardi, dopo lunghi negoziati internazionali e una vita del tutto isolata e costantemente sorvegliata. Alloggiati in due stanze seminterrate dell’edificio, alternano speranza, delusioni, sogni di un “matrimonio all’italiana” e sofferenze psicologiche. Durante quei cinque anni, tra poliziotti, diplomatici e servizi segreti albanesi si verrà a creare ogni tipo di incidente e malinteso.
Solo nel maggio del ’90 i sei protagonisti arrivano trionfalmente in Italia. Ma anche qui le cose non vanno come loro si aspettano: i Tota si sentono eroi che hanno combattuto la dittatura albanese e così vorrebbero essere trattati. Invece, ovviamente, entrano nella routine burocratica dei richiedenti asilo: prima sono trasferiti in un campo per rifugiati politici e in seguito, loro malgrado, ospitati in un alloggio popolare nel quale vivranno dimenticati da entrambi i Paesi, incapaci di integrarsi nella nuova patria e di dare un senso alla loro libertà.
Il libro racconta questa vicenda regalando un interessante ritratto della vita albanese durante gli anni del regime e l’ansia di felicità, di “normalità”, potremmo dire, di quella gente, il tutto raccontato con arguzia e sarcasmo,ma senza, allo stesso tempo, nasconderne la tragicità. Una sorta di commedia nera, dove si ride amaro e si rispolverano i ricordi di una storia recente che continua tuttavia, pur in forme e modi diversi a ripetersi.
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