Esce in libreria per Rubbettino “Il poeta e il combattente”, l’autobiografia di Joseph Harmatz, una preziosa testimonianza della lotta segreta degli ebrei lituani
Un pregiudizio, purtroppo diffuso, rappresenta gli ebrei come inermi e passivi nei confronti dei nazisti intenti allo sterminio. Si tratta di un pregiudizio che oggi gli storici hanno ampiamente sfatato. Gli ebrei riuscirono a procurarsi le armi necessarie nelle maniere più rocambolesche, organizzarono la resistenza nei ghetti europei e poi combatterono da partigiani nelle foreste e nelle città europee.
Una preziosa testimonianza dell’attività di resistenza ebraica giunge dalla traduzione in italiano per i tipi di Rubbettino del libro di Joseph Harmatz “Il poeta e il combattente. La lotta segreta degli ebrei lituani” a cura di Anna Rolli e con postfazione di Beppe Segre.
Braccio destro e intimo amico per tutta la vita di Abba Kovner (capo della Resistenza in Lituania e, in seguito, il più importante tra i poeti d’Israele), Julek ci racconta della sua lotta al fianco dell’intellettuale e combattente che, con il suo famosissimo proclama (“Ebrei! Non andiamo come pecore al macello!”), più di ogni altro ha contribuito all’organizzazione della resistenza dei ghetti europei e delle bande partigiane ebraiche e a forgiare la nuova immagine del popolo ebraico nella diaspora e in Israele.
Il libro inizia raccontando il lungo viaggio nei luoghi dove, fino all’invasione dell’armata germanica, Julek aveva vissuto felice, come decine di milioni di altre persone, nel calore della propria famiglia e del proprio ambiente, dove a 17 anni era stato internato nel ghetto ed era entrato nella Resistenza, e a 19 era fuggito nella foresta per combattere con i partigiani.
Ai tempi di Harmatz In Lituania vivevano circa 200mila ebrei, il 7 per cento della popolazione, dei quali 57mila nella capitale, quasi un terzo degli abitanti. Vilnius era superata, in Europa, soltanto da Varsavia per la sua importanza centrale nella vita culturale delle comunità di tutto il mondo e con amore, orgoglio e ammirazione veniva definita “la Gerusalemme della Lituania”.
La popolazione ebraica contava poeti, scrittori, pittori, musicisti, alcuni dei quali famosi, medici, avvocati, ingegneri, architetti e artigiani di ogni tipo.
La comunità lituana fu però la prima a essere sottoposta alla soluzione finale e nel modo più spietato, con l’apporto dei volontari autoctoni che parteciparono ai massacri e In cinque mesi, entro il novembre del 1941, più di 136mila ebrei furono assassinati non lontano dalle proprie case, nella foresta di Ponar, alle porte della città, prevalentemente con fucilazioni di massa. Al 31 dicembre di quell’anno circa
l’80 per cento degli ebrei era stato eliminato, tre anni dopo, alla fine della guerra, il 96 per cento non esisteva più.
Nel novembre del 1941, a Ponar, una giovane donna, un’insegnante, ferita e seminuda, strisciò fuori da una fossa comune e camminò per otto miglia attraverso la foresta gelata per raggiungere il ghetto. Nessuno riusciva a credere al suo racconto, soltanto Abba Kovner, al quale un sacerdote qualche tempo prima aveva parlato dei vagoni che inspiegabilmente tornavano indietro vuoti da Ponar, capì che stava dicendo il vero e scrisse il primo appello alla lotta rivolto agli ebrei, privi di armi e munizioni. «In una situazione senza speranza, soltanto la lotta può creare una sorta di speranza» dichiarò in seguito.
Il 1° gennaio del 1942, in una riunione di circa 150 membri del movimento giovanile, Kovner che all’epoca aveva 23 anni, lesse un proclama intitolato Ebrei! Non andiamo come pecore al macello! nel quale affermava con chiarezza che Hitler stava meditando di uccidere tutti gli ebrei d’Europa, un’opinione basata più sull’intuizione che sui crimini allora conosciuti. Seguiva l’invocazione finale: «Ebrei! Difendiamoci fino all’ultimo respiro!
Comincia così l’impegno di Julek per la difesa e la salvezza degli ebrei, impegno protratto anche nel dopoguerra che lo vide membro dei Vendicatori in Europa e, in seguito, del Mossad nel giovane stato israeliano.
Quelle di Harmatz sono memorie avvincenti e umanissime, di enorme interesse per chiunque voglia conoscere, attraverso la testimonianza, la resistenza degli ebrei in quegli anni terribili e spaventosi della nostra storia e ciò che accadde loro nel dopoguerra.
Il linguaggio solitamente pacato, qualche volta ironico, qualche volta vibrante, è quello di un uomo che ha conosciuto tutto il dolore e tutto l’orrore di un mondo precipitato nell’abisso e che ha trascorso la vita dalla parte giusta, sempre lavorando e combattendo.
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