Esce per Rubbettino “Servire, non servirsi. La prima regola del buon politico”, un’illuminante raccolta di scritti di Don Luigi Sturzo
È difficile, dopo l’elezione al Colle di Sergio Mattarella e l’avvio della concomitante fase di transizione in atto nel PD, non intravedere l’ombra dello scudo crociato sulla Terza Repubblica (o Seconda bis).
Ma se così è, perché allora non ritornare alle origini? Al pensiero di Don Luigi Sturzo?
Se svolta democratica e moderata deve essere, non si può che partire dagli insegnamenti del fondatore del Partito popolare, per non cadere negli stessi errori dei suoi successori ma soprattutto per prendere le distanze da una politica urlata e insudiciata, per ritornare ad avere degli obiettivi comuni e moralmente condivisi.
Esce per Rubbettino “Servire non Servirsi” una raccolta di tre lettere (indirizzate rispettivamente ad Aldo Moro, Giuseppe Caronia, padre costituente nelle liste della DC e Claudio Scajola, fondatore della DC di Imperia) e 12 tra articoli e interventi parlamentari scritti da Don Luigi Sturzo tra il ’46 e il ’59, al ritorno dal suo esilio ventennale.
Una piccola parte della sua eredità intellettuale, un monito per il futuro che viene dal passato ma che risulta di un’attualità profetica. E la differenza tra attualità e modernità è in questo caso sostanziale.
E così tra le pagine di questa raccolta emergono questioni mai archiviate.
Sturzo si scaglia contro le tre “malabestie”, statalismo, partitocrazia e sperpero del denaro pubblico, sfamate da uno Stato imprenditore. Lo fa cercando di insegnare ai cattolici il dovere di interessarsi alla cosa pubblica facendo leva sui valori morali, ma con quel pragmatismo che fece di lui un grande statista, “se statista vuol dire avere una visione strategica della vita del proprio popolo, se vuol dire avere dello stato una limpida concezione laica” come la ebbe lui.
Denuncia la corruzione e fa i nomi, prende posizione nei “casi mediatici” di quegli anni offrendo una visione panoramica degli albori della Prima Repubblica (es. il caso Giuffrè, il caso ENI e il caso Milazzo), discute ora con pacatezza ora con fervore dell’accentramento statale “greve e sconcertante”, del conflitto di interessi e dell’incompatibilità tra incarichi politici e amministrativi, della nascita del sistema regionale prevedendone prima il fagocitamento da parte dello Stato-Tutto, e poi il fallimento.
Si rivolge ai giovani senza ghettizzarli in una categoria protetta, ma dandogli in mano la responsabilità del loro futuro, esortando la gioventù sana e idealista (che c’è sempre, oggi come allora) a impegnarsi per le cause collettive perché solo questo può creare il clima giusto per la ripresa.
Un libro che suggerisce riflessioni storiche, che dà uno sguardo al passato, ma che porta con sé quel retrogusto di speranza che hanno solo le seconde possibilità.