“Omero al Faro” tra i cinque finalisti del premio Berto
Il romanzo d’esordio di Mimmo Rando, in libreria in questi giorni per Rubbettino
Un romanzo giocoso e rapsodico, una commistione di linguaggi, tempi e storie che portano il lettore a immergersi in affascinanti e divertenti avventure, in atmosfere oniriche e terrene. Il centro di tutto è un luogo-non luogo unico, Il Faro, origine e termine delle vicende e delle emozioni umane, protagoniste indiscusse del libro e filo conduttore che accomuna eroi a rozzi figuri, sante a meretrici, divinità a creature animalesche.
Rando col suo narrare fuori dagli schemi classici si tuffa nelle più classiche delle opere, l’Odissea e l’Iliade non disdegnando però brevi escursus nella Divina Commedia, come escamotage per raccontare una storia corale in cui ogni personaggio è se stesso ma anche altro da sé. Una scrittura, quella di Rando che si rifà ai maestri della letteratura postmoderna, al surrealismo e al citazionismo, che rimane unica nel suo genere per i rimandi prima aulici e poi volgari che si susseguono senza sosta, in un concitato divenire di peripezie dal climax sempre sorprendente.
Un pastiche che mette insieme epica classica e linguaggi dialettali, figure mitologiche e situazioni grottesche, un romanzo in cui i miti greci sono umanizzati fino al limite della parodia e la Sicilia del passato recente diventa un luogo che contiene tutti i luoghi, in un tempo che è eterno ma non immobile.
Omero è un cantastorie che mette in scena le epiche gesta dei suoi protagonisti attraverso “pupi” e marionette raccattando pubblico nelle piazzette polverose del paese. Ulisse, notoriamente furbo e scaltro, mostra tutte le debolezze e le pazzie dell’amore non ricambiato per Nina, dimenticandosi anche di Penelope che lo attende a Itaca. Polifemo non è un ciclope ma un macellaio geloso di Ulisse-Nessuno con cui pensa che la moglie lo tradisca, e viene accecato non da un legno rovente ma da un membro virile reso gigante per intercessione divina. Il cavallo di Troia diventa un feticcio tirato di continuo in ballo per ridicolizzare l’itacese. Circe rimane una maga, ma la trasformazione dei greci in maiali diventa l’incantesimo per rendere più possente e bestiale, più conforme quindi ai suoi lussuriosi desideri, un Ulisse troppo “infighettito”. Agamennone espia le sue colpe morendo diverse volte, come se nulla fosse, in maniera sempre più comica e grottesca.
Oracoli, sacrifici agli dei, profezie e pozioni magiche non sono semplici espedienti narrativi, ma diventano metafore di logiche umane attualissime, come l’inquinamento e il progresso. Personaggi esilaranti come Pascaliufalignami, le galline profetiche della ‘zza Maria, il mansueto Fronziu e la sagace Milia, fanno da ponte a culture apparentemente lontanissime come la Grecia del IX secolo A.C. e la Sicilia di metà Novecento, ma sovrapposte in un gioco linguistico, narrativo e concettuale.
Il libro di Mimmo Rando è tra i cinque finalisti del Premio Nazionale di Letteratura Giuseppe Berto
Mimmo Rando è nato a Torre Faro (Messina) nel 1945, luogo dove tuttora vive in modo quasi marginale e solitario, dedicandosi alla pittura, allo studio del violino e alla scrittura. Ha trascorso la sua vita leggendo e raccogliendo i frammenti, gli scarti di quell’operazione di mutazione antropologica che ha trasformato il nostro Sud.
Ha soprattutto scritto e documentato tutto.
“Omero al Faro” è la sua opera prima.
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