Mimmo Lucano grazie al suo lodevole impegno a favore dei migranti e dei profughi è stato indicato da “Fortune” come uno dei 50 uomini più potenti del mondo, ma quella storia parte da lontano.
A raccontarlo è il collettivo di scrittura Lou Palanca che, proprio e non a caso a Riace, ha ambientato il romanzo “Ti ho vista che ridevi” che, grazie al passaparola dei lettori è diventato rapidamente un caso editoriale.
Il libro in una serie di confronti tra la Riace attuale e quella del dopoguerra ha ben spiegato come quello dei migranti possa da problema sociale diventare una risorsa, specie per quei paesi (come Riace, ma anche come buona parte dei paesi della Calabria interna) che a causa di un rapido spopolamento vivono oramai una lenta e inesorabile agonia.
Il romanzo è dedicato alle “calabrotte”, quelle donne che spinte dalla necessità, hanno lasciato la Calabria nel secondo dopoguerra e, grazie all’intermediazione dei “bacialè”, vere e proprie agenzie matrimoniali ante litteram, hanno raggiunto le campagne del Piemonte sposando uomini rimasti soli a custodire fattorie e appezzamenti di terreno dai quali le donne erano scappate per raggiungere il sogno della tranquillità di un impiego in fabbrica.
Sono le calabrotte le artefici del “miracolo delle Langhe”, della rinascita di una regione povera che ha trasformato in ricchezza le condizioni di partenza svantaggiate. Ma nel romanzo si parla anche della Riace di oggi, della Riace che accoglie i migranti e che ha saputo fare tesoro delle vicende di quelle sue figlie partite tanti anni fa alla ricerca di fortuna.
Emblematico a tal riguardo è un passaggio della nota di introduzione scritta da Carlo Petrini, il fondatore di Slow Food:
“Siamo tutti stranieri, siamo tutti in cerca di salvezza, siamo tutti sulla terra di qualcun altro. Siamo tutti in attesa dell’invasione che ci salverà e ci porterà la soluzione che da soli non sappiamo inventare. Non importa se arrivano stremati sulle coste di Lampedusa, o sbarcano sicuri negli aeroporti internazionali; se passano il confine orientale nelle notti senza luna o arrivano a Torino stringendo in mano una lettera d’invito per un evento che si chiama Terra Madre; se l’occasione è un Erasmus o una fuga disperata. Non è necessario che impariamo quali e quanti sono gli infiniti modi che la Storia inventa per farci incontrare i nostri salvatori: dobbiamo solo imparare a riconoscerli, quando li vediamo arrivare, e ad aprire le braccia per accoglierli”
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