Di Kongoli Rubbettino ha pubblicato in Italia «Illusioni nel cassetto» e «La vita in una scatola di fiammiferi»
Albanese, definito “scrittore della transizione” perché i suoi principali romanzi sono stati pubblicati dopo il crollo del regime comunista in Albania, Fatos Kongoli è universalmente acclamato tra i massimi romanzieri viventi, accostato a grandi autori come Kafka, Dostoevskij e Solzenicyn.
Di Kongoli, Rubbettino ha pubblicato la sua opera più significativa «Illusioni nel cassetto», un romanzo dal forte impianto autobiografico, una sorta di “Ricerca del mondo perduto”, in cui l’autore racconta cosa significhi essere scrittori vivendo sotto un regime dittatoriale, e il romanzo di introspezione psicologica «La vita in una scatola di fiammiferi».
A Mantova, Fatos Kongoli dialogherà con il giornalista Bruno Gambarotta, Sabato 7 settembre, alle 19,15, presso il Conservatorio di Musica “Campiani”. Il titolo dell’incontro è “Solitudini di Pietra”.
Figlio di un esponente del regime poi caduto in disgrazia, Fatos Kongoli (Elbasan, 1944) vive per decenni nell’Albania comunista di Enver Hoxha. Si innamora della letteratura divorando i testi di Hemingway e Čeckov e frequentando il liceo. Trasferitosi a Tirana insieme alla famiglia, viene inviato a studiare matematica a Pechino, ma fa ritorno in madrepatria dopo la rottura delle relazioni diplomatiche tra i due paesi. In seguito cura una rubrica di cinema e teatro presso la redazione di «Drita», organo di stampa della Lega degli Scrittori, e inizia a firmare i primi racconti. Conosce sulla propria pelle e su quella di molti vicini le sferzate e le miserie del totalitarismo, ripercorrendole lucidamente insieme ad altre transizioni epocali dell’Albania in «Illusioni nel cassetto», sincero autoritratto di un uomo alla ricerca del tempo perduto. Tra gli anni Novanta e Duemila, quando il paese si lascia alle spalle il regime e decine di migliaia di albanesi emigrano all’estero, Kongoli firma i suoi romanzi più belli (a questo periodo appartiene «La vita in una scatola di fiammiferi») e una volta varcati i confini dell’Albania, la sua opera viene tradotta e osannata in tutta Europa (Le Monde, Le Figaro, La Stampa, Le Temps, Le Soir, Der Tagesspiegel, The Independent, The Guardian), stagliando il suo nome accanto a quelli dei massimi scrittori albanesi del Novecento.
Illusioni nel cassetto
Come si può vivere da scrittori sotto una dittatura? Quali parole dire e quali tacere? Fino a che punto darsi coraggio o piegarsi alla paura? E ancora. Aspettare di essere censurati o censurarsi da soli? Unirsi al coro, fare finta di cantare o tenere la bocca chiusa? Fatos Kongoli, autore fra i più letti e tradotti dell’area balcanica, affronta, con questo romanzo-confessione, i dissidi interiori che hanno tormentato la sua esperienza umana e letteraria, durante e dopo la dittatura comunista. Ne viene fuori un autoritratto originale e sincero in cui è l’autore, per una volta, a cercare il confronto, anzi a marcare le somiglianze tra sé e gli antieroi dei suoi romanzi: tutti tendenzialmente pavidi, inadeguati, cinici, disperatamente in bilico tra le lusinghe e le minacce del Potere. Vengono inoltre tirati in ballo, a vario titolo, numerosi protagonisti della vita pubblica albanese che Kongoli, figlio di un esponente di rango del regime poi caduto in disgrazia, ha conosciuto sin dall’infanzia. Un libro-scandalo dunque. Ma non solo. Senza nascondere le proprie debolezze e le proprie contraddizioni, cercando invece di leggersi in profondità, Kongoli ci fa entrare nel suo laboratorio creativo, ci svela i meccanismi che presiedono alla nascita dei suoi personaggi e allo sviluppo delle sue trame. Ci offre in pratica, con umiltà, una grande lezione sull’arte dello scrivere. Un’avventura esclusiva e illuminante, sia per quanti hanno già letto i romanzi di Kongoli, sia per quanti, dopo questo libro, non potranno farne a meno.
La vita in una scatola di fiammiferi
Bledi Terziu, cronista di nera senza più un lavoro, abbandonato dalla compagna, vive da mesi nella solitudine del suo nuovo appartamento al centro di Tirana quando riceve la visita, inaspettata, di una giovane zingara. Offuscato dall’alcol, Bledi tenta maldestramente di possederla ma la ragazza, quasi accidentalmente, muore, precipitandolo in una confusa disperazione. Riavutosi, Bledi cerca di disfarsi del cadavere e di cancellare ogni traccia, convinto che riuscirà a farla franca. Psicologicamente provato, però, in balia di un costante stato febbrile, vede riemergere dal passato, come rigurgiti della coscienza, frammenti della sua miserabile vita. Rivede la Tirana della sua infanzia, angusta e oppressa dal regime; quella corrotta e insensata della transizione; e quella attuale, della società “libera”, confusa tra lo scintillio delle luci e gli anfratti bui di continue nefandezze. Senza risparmiare perversità e zone d’ombra Kongoli adotta qui, per la prima volta nei suoi romanzi, una visione beffarda anziché tragica del mondo che descrive. Ne risulta un quadro compassionevole del dolore e dello sconcerto umani, attraverso le vicende di un povero diavolo percosso dai venti della modernità e vittima della propria follia.