Il libro verrà presentato in anteprima nazionale al Passaggi Festival di Fano il 27 giugno
«Per 15 anni non sono riuscito a raccontare l’esperienza della prigione» confessa Bashkim Shehu in una lunga intervista a «La lettura» del «Corriere della Sera», rilasciata in occasione dell’uscita in Italia per Rubbettino del romanzo «La rivincita», romanzo che verrà presentato in anteprima nazionale a «Passaggi festival» di Fano il prossimo 27 giugno (ore 22,00 – Chiesa di San Francesco).
Quella di Shehu non è stata una vita facile. Figlio di Mehmet Shehu, presidente del Consiglio albanese dal 1954 fino alla morte per suicidio (1981) e numero due del regime del dittatore Enver Hoxha, Bashkim è stato condannato, dopo la caduta in disgrazia del padre, a dieci anni di reclusione per propaganda politica. Il padre era stato, a sua volta, accusato, post-mortem, di spionaggio perché aveva favorito il matrimonio di uno dei due figli con una ragazza americana.
Oggi Bashkim vive a Barcellona, in una forma di auto-esilio volontario.
Ne «La rivincita», Shehu racconta la vicenda di Aleks Krasta, condannato senza conoscerne i motivi come “traditore della patria”. Divorato dall’ombra del padre, un membro autorevole dell’apparato statale, e vinto dalla sventura, Aleks arriva a conoscere tutti i gradi di una vera e propria discesa agli inferi. Lo accompagna il suo unico amico, il narratore, il suo doppio, che raccoglie la storia della sua vita. La colpevolezza onnipresente (che accosta l’eroe a K. di Kafka), le torture inflitte ai francescani di Shkodra, la donna amata divenuta illusione… ad Aleks rimane come unica via d’uscita la vertigine interiore, quel gioco in cui bisogna essere personaggio, regista e spettatore.
Quello di Shehu, nonostante la somiglianza evidente con la sua vicenda personale, non è un romanzo autobiografico.
«Ogni romanzo – dice Shehu a «La Lettura» – è una sorta di autobiografia… come diceva Borges, “Disegniamo linee nella polvere come in uno sogno, e così viene fuori che abbiamo disegnato il nostro autoritratto”. Nel caso del mio libro non è un romanzo autobiografico. È funzione, con inevitabili riferimenti autobiografici, alcuni volontari, altri incensi, suppongo. Credo che questo non sia rilevante in letteratura. La cosa importante è il libro, non l’autore. E quello che ho scritto è nato spontaneamente».
E quello che è nato è un romanzo potente, un romanzo sulla vita e sulla morte e sul peso della vita e della morte in un regime dittatoriale che annulla gli individui in nome di una collettività indistinta e uniforme.
Bashkim Shehu (Tirana 1955) è scrittore albanese in esilio volontario a Barcellona. Le sue numerose opere sono tradotte in varie lingue. Figlio di Mehmet Shehu, braccio destro del dittatore Enver Hoxha poi accusato di alto tradimento e indotto al suicidio, ha vissuto sulla propria pelle, a somiglianza del protagonista di questo romanzo in conflitto con il padre e con se stesso, oltre alla tragedia familiare, le sofferenze della persecuzione politica. Questo romanzo ha ottenuto importanti riconoscimenti internazionali tra cui il Premio Balkanika 2015 e la menzione speciale della giuria al Premio Méditerranée Étranger 2018.