«Quella notte non riuscii a chiudere occhio. Mi sentivo in un mondo che non era il mio. Il mio mondo si trovava ormai tutto intero nel seminterrato. Insieme al coro dei vermi»
L’intensità della storia albanese, a partire dal regime di Hoxha, passando per il periodo post-comunista, fino ad arrivare all’anarchia del 1997 e al successivo periodo di occidentalizzazione, non è il semplice sfondo del romanzo ma la chiave di lettura che accorda il protagonista con ciò che gli si riversa addosso tra aspirazioni e dura realtà.
La storia di Bledi Terziu, raccontata da egli stesso come una confessione a cuore aperto e a briglia sciolta, senza filtri e orpelli narrativi, investe il lettore trascinandolo nel flusso di coscienza destabilizzante del protagonista, non tanto per un gioco all’immedesimazione, ma perché rende vivida e realistica l’esperienza narrativa.
La società classista e razzista, gli attivisti di quartiere, l’icona sacra in ogni casa, l’università limitata, la corruzione dilagante, sono la quotidianità a cui o ci si adatta o si soccombe; quando a partire dal 1990, per Bledi confine tra preistoria ed età moderna, la situazione economica e politica migliora il panico esistenziale assume nuove forme, quelle della notorietà, dei vip e dei lustrini.
Consapevolezza e incoscienza si alternano in un limbo di suggestioni che rendono pulp, grottesco e allo stesso tempo intenso un racconto che il protagonista non controlla ma attraversa in maniera lenta e confusa, “come una lumaca alla ricerca del guscio perduto”, come chi si è perso e cerca a fatica di recuperare il bandolo della matassa.
Kongoli è brutale, gioca con le immagini dissacranti, con gli odori rivoltanti e i corpi nudi, con la sensualità più terrena e con l’ingenuità dell’infanzia, mischiando tutto in maniera ironica e irriverente.
Tutto è governato da un fatalismo esasperato in cui le intenzioni spesso rimangono tali e non si completano nelle azioni corrispondenti, in una sorta di parallelismo con un caos beffardo a cui Bledi non riesce, non può o non vuole opporsi.
Sembra proprio il fato a mettere sulla strada di Bledi, cronista di nera in “lutto alcolico” per una delusione amorosa, una zingara diciottenne, Isabela, con cui vorrebbe avere un rapporto sessuale, ma che uccide “involontariamente” mentre si trova nella sua vasca da bagno.
È il punto di rottura, l’evento tragico che porta a galla le inquietudini del protagonista risvegliandolo dallo stato catatonico in cui si crogiolava tra un Jack Daniel’s e l’altro.
Risorgono come zombie dalla terra della sua “preistoria” i ricordi dell’infanzia in quella casa piccola come una scatola di fiammiferi, della gioventù passata a combattere contro il “coro di vermi” che lo assilla e diventa metafora delle ossessioni umane, dei vicini di casa “involontari” comprimari in una vita di cui lui stesso non si sente protagonista.
Fatos Kongoli (Elbasan, 1944) è tra i maggiori esponenti della letteratura contemporanea albanese. Di lui e delle sue opere hanno scritto le testate europee più importanti come Le Monde, Le Figaro, La Stampa, Le Temps, Le Soir. È stato paragonato a Kafka, Dostojevski, Solženicyn e i suoi romanzi, tradotti in dieci lingue, sono apprezzati ovunque.